I suoni, le parole e i volti di Anna Lopopolo

Una canzone? Tre accordi di chitarra uniti al potere della parola.
(Patti Smith)

Quando, in vista di Paratissima, ho cominciato ad interessarmi ad Anna Lopopolo, l’ho fatto perché attratta dalle espressioni dei volti dei suoi dipinti.
L’uso del bianco e nero e l’intensità degli sguardi hanno fatto da catalizzatore.

Poi ho cominciato a guardare meglio, più attentamente, più in profondità, e mi sono accorta, che i volti che dipinge Anna non sono realizzati con tratti di pennello, ma con l’accostamento e la mescolanza di parole.

La parola assume molteplici risultati. Concretizza suoni e idee, rappresenta il pensiero di chi la pronuncia, forma impressa di idee e sentimenti.
Nei Ritratti di Anna Lopopolo c’è l’essere umano in tutto se stesso. Bisogna andare a guardarli bene, da vicino, per capire l’essenza dei ritratti, per scovare le parole, per ricostruire i testi delle canzoni, i  monologhi, i pensieri. Guardare un suo dipinto è un viaggio nel viaggio.
In quella baraonda di persone, che è stata Paratissima non sono riuscita a incontrare Anna di persona. Sono riuscita a contattarla solo in seguito, via mail, e la ringrazio per la sua disponibilità.

Quali sono i passaggi fondamentali della sua evoluzione artistica?
Difficile stabilire l’inizio di un percorso, ma sicuramente ci sono momenti ed episodi che formano. Il momento più importante nel mio percorso, che posso considerare un vero e proprio punto di svolta, è stata la scoperta del personaggio di Patti Smith attraverso la lettura del suo libro Just Kids. Vero e proprio punto di rottura con il difficile passato fatto di panico e paure e punto d’inizio della mia sperimentazione artistica.
Durante la lettura del libro ho iniziato a sentirmi molto legata a Patti Smith. Mi sono ritrovata in alcune scene della sua infanzia e, soprattutto, sono rimasta molto colpita dalla descrizione del rapporto tra la Smith e il fotografo Robert Mapplethorpe.
La loro unione mi ha ispirata. Ho sempre sognato un legame come il loro, che andasse oltre l’amore e oltre l’amicizia. Un legame artistico-spirituale, che ha permesso ad entrambi di proseguire nel loro percorso. Un continuo sostenersi e confrontarsi che ha fatto crescere i due artisti.

Ha dei modelli ai quali si è ispirata?
Tutti i personaggi che dipingo mi hanno in qualche modo ispirata.
A partire da Giorgio Gaber, che attraverso il teatro-canzone ha dato particolare rilievo alla parola, fino a Patti Smith, faro che illumina il mio percorso e Musa ispiratrice.  

 Cosa vorrebbe che i nostri lettori conoscessero di lei e della sua arte?
Quello che voglio dire, lo dico attraverso i miei lavori.
Scegliendo un personaggio, un’immagine e i testi da scriverci veicolo un messaggio conscio, a volte anche inconscio.
Penso che non ci sia bisogno di aggiungere ulteriori parole ai miei quadri, parlano già da soli.  
La sua è una pittura fatta di parole. La parola fa parte integrante del tratto pittorico. Ci può spiegare cosa l'ha spinta verso questo particolare stile di pittura?
La prima volta che ho usato questa tecnica è stato per un progetto fatto in quarta Liceo Artistico per una casa di riposo. Abbiamo tentato di unire le foto di persone anziane al loro racconto. Abbiamo, quindi, deciso di scrivere le loro parole sui loro volti.
Dopo qualche anno, in modo molto più consapevole, ho iniziato a fare mia questa tecnica, supportandola con un’idea di base.
I pensieri, le parole, gli scritti delle persone sono ciò che loro ci vogliono dire, lasciare; sono quindi il loro essere e il messaggio che vogliono comunicare.
Il mio “lavoro” è quello di unire l’essere e la sua essenza, la persona e il messaggio, in sostanza unisco il volto e le parole.

Le parole che usa per le sue tele non sono casuali. Come sceglie i soggetti dei suoi ritratti e come sceglie le parole da usare per ritrarli?
Ovviamente le parole non sono casuali. Solitamente sono testi, scritti del personaggio rappresentato.
Scontrandomi, spesso casualmente, con un personaggio me ne innamoro, trovo un’immagine che lo rappresenta particolarmente bene e poi scelgo una sua opera.
Se è un cantante, uso i testi di un suo album, se è un poeta le sue poesie, se è un artista i suoi diari, ecc…
Prima creo una base che mi dia a grandi linee un’idea di dove scrivere, poi inizio a scrivere: uno, due, tre e più strati di parole.
Fino a che il personaggio ha pienamente preso vita.  
Oltre alle tele ha realizzato anche tre artist book. Ci può raccontare qualche cosa di questi libri? Come sono nati?
Io reputo i miei lavori come dei figli, delle mie creazioni. Dipingo ciò che mi piace e soddisfa me stessa prima che il pubblico.
I miei Quadernini d’Artista, che in realtà sono sette, sono ancora più personali. Sono nati da mie paure, mie dolori, mie gioie e sono dedicate alla mia Musa.

Qual è stata l'evoluzione dall'uso di parole altrui per costruire ritratti a opere personali e introspettive come gli Artist Book?  

Non la vedo affatto come un’evoluzione, sono due lavori completamente differenti.
I Quadernini d’Artista sono opere molto personali, che ho fatto per una persona e ora fanno parte della sua collezione privata di opere. Sono lavori a sé, che non hanno avuto una particolare evoluzione.
Le mie “vere” opere sono i miei quadri e l’evoluzione non sta a me spiegarla e nemmeno vederla. Seguo il mio istinto, le idee che nascono in me volta per volta.

Ha un sogno nel cassetto: veder esposte le sue opere...
Oddio questa domanda mi coglie impreparata. Sicuramente tutti abbiamo un sogno o più di uno. Però i sogni spesso si modificano durante il percorso di crescita di una persona.
Ad oggi il mio sogno è quello di continuare a fare il mio “lavoro”, il poter continuare ad esprimermi mediante le mie opere e vivere di questo.
Perché no? Magari lasciare anche una piccola traccia del mio passaggio nella storia dell’arte.

Se potesse suggerire un'idea per valorizzare gli artisti contemporanei, cosa suggerirebbe?
Creare sempre più occasioni e spazi dove possano esporre i giovani artisti.
Paratissima è stata una testimonianza importante, che sicuramente ha offerto un momento espositivo di prim'ordine, ma alla portata di tutti.
Un’occasione per mostrare il proprio lavoro, uscendo dagli stereotipi classici delle fiere dell’arte riservate a pochi eletti facenti parte delle gallerie.

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