Alter Ego: un viaggio tra i labirinti del cuore


Ci sono incontri che lasciano il segno, ci sono artisti che parlano con un tale entusiasmo e amore verso le loro opere che tu non puoi rimanere indifferente. Attraverso le parole quello che sembra, a me profana, un groviglio inestricabile diventa poesia e arte.
Ho incontrato Davide Pisapia all’interno della mostra Infiniti Labirinti e grazie a lui ho fatto un fantastico viaggio tra i labirinti della mente e del cuore.

Esiste un luogo in cui le cose che amiamo e quelle che siamo bravi a fare si ritrovano insieme. Dov’è per te questo luogo e quale è la strada che porta a questo luogo?
Geograficamente il luogo è in via Del Riposo a Napoli, dove c’è una semplicissima officina dalla quale escono fuori i miei lavori.
In realtà un luogo preciso non c’è, perché risiede in una parte di me che io neanche immaginavo di avere e che ho scoperto con la crisi economica.
Io sono autodidatta, non vengo dal mondo delle Belle Arti, è stato per me tutto una scoperta attraverso il senso dell’amore.

Che materiale prediligi usare?
Prevalentemente lavoro il ferro trafilato che è un ferro acciaioso abbastanza resistente.
Mi capita anche però di usare per una stessa opera diversi materiali, come per Loverynth dove ho usato legno, plastica e ferro.

Tu sei presente a Paratissima con due opere. Una è Loverynth ed è ospitata all’interno della mostra Infiniti Labirinti. Cosa rappresenta Loverynth?
Rappresenta la parabola dell’amore.
Tutti noi ci ritroviamo spesso a iniziare percorsi sentimentali che non conducono da nessuna parte, come in un labirinto. Però nella vita di una persona, per fortuna, c’è sempre un percorso che porta all’altra metà. I due specchietti non sono altro che due cornici nelle quali invito i due amanti a specchiarsi.


Oltre a Loverynth qui a Paratissima è esposta anche un’altra tua opera.
Sì esatto, si tratta di Spleen . Questa è l’opera con la quale volevo esordire a Paratissima.


Ce ne puoi parlare? Che cosa è Spleen e perché è proprio raffigurato da un uomo?
Qui si affronta un tema opposto a quello dell’amore: il male di vivere, la malinconia.
Spleen è il termine che Baudelaire usa per racchiudere in un’unica parola il senso di disperazione e di malinconia dell’uomo.
Io ho pensato di interpretare attraverso forme tridimensionali quello che Baudelaire affrontava nei suoi scritti. Sono andato a rappresentare un uomo inginocchiato, morente, privo del sangue che irrorava le sue vene. Non a caso quest’uomo viene rappresentato incolore.
Attraverso l’arte rappresento un uomo che si priva del cuore e che concettualizza l’idea che l’arte non è importante nella vita degli esseri umani. Giunto a questa conclusione l’uomo si toglie la vita.

Cosa rappresentano le ali?
Anche le ali sono un’associazione a Baudelaire. Secondo il poeta, coloro che sono affetti da questo spleen si sentono liberi di volare come un albatros, perché l’albatros è un animale che si sente maestoso e in grado di poter varcare gli oceani. Però, nel momento in cui si ritrova sulla terra ferma, si sente goffo e inutile.
Questo stato d’animo è lo stesso che vive quest’uomo che si sente come un essere inutile. Baudelaire affermava che i poeti erano considerati dalla società esseri inutili, perché non portavano profitto.

Quindi l’opera d’arte fa diventare tangibile la poetica di Baudelaire?
In un certo senso sì.
Ho incontrato un fotografo, qui a Paratissima, che mi ha dato un’altra interpretazione di Spleen che a me è piaciuta molto. Ha detto che quest’opera si può dividere in tre parti: la vita, rappresentata dal cuore; l’assenza, rappresentata dall’uomo che non ha più nulla che lo personifica; l’aldilà rappresentato dalle ali.
Spleen è l’opera alla quale sono più legato insieme a L’Amore ramifica.

Sono stata veramente contenta di parlare con Davide e non mi sono per niente stupita, quando ho saputo della sua vittoria del premio Vibel Design.


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